Ancora una volta è tempo di bilanci di fine anno, ma già in premessa devo dire che è stato un anno in cui ho faticato molto a trovare musiche stimolanti e coraggiose. Un anno che definirei ancora una volta di transizione, in cui il presunto ritorno alla normalità post pandemia non ha ancora trovato terreno fertile verso nuove traiettorie sonore. Ci si è preoccupati soprattutto di riprendere una certa confidenza con la normalità. Artisti e band sono tornati in tour con moltissime difficoltà, di sostenibilità economica e disponibilità di maestranze. Un anno dai ritmi furiosi e dai risultati deludenti. Album come quelli di Beyoncé e Rosalia sono certamente rilevanti, ci sono però 4 album usciti nel ’22 che ritengo fondamentali, a partire da quello di Lucrecia Dalt in cima alla mia classifica. Un album in cui la Dalt si mette decisamente in gioco riuscendo nell’impresa di unire con grande classe e maestria il suo percorso di sperimentazione elettronica con le sue origini sudamericane. Riuscendo ad unire la sua mente matematica con la sua infanzia in Colombia circondata da tropicalia, bolero e flamenco. Al mix il genio di Marta Salogni, ai ritmi l’eccentrico e tentacolare Alex Làzaro. Appena ho ascoltato !Ay! ho capito subito che sarebbe stato un disco dell’anno. Un album intimo e avventuroso. Un album in cui tutti gli elementi trovano un loro spazio e un punto di tenuta nel racconto distopico che li accompagna. Scienza, tradizione, intimità e temporalità si ritrovano così magicamente riuniti in un’unica visione.
Nelle mie classifiche di fine anno come ormai avrete capito, non può mai mancare un album che non veda protagonista Moor Mother, l’amazzone nera che con il suo blues cavalca il tempo e lo spazio. Il suo nuovo album si intitola Jazz Codes e rende omaggio alla storia della black music con il suo stile inconfondibile che nel frattempo è diventato sempre più profondo, fumoso e musicale senza mai perdere di vista quelle tematiche che da sempre costituiscono il fondamento della sua produzione, concentrandosi questa volta sulla ricollocazione della memoria.
Il quarto album di questa carrellata è quello di Kali Malone con il suo capolavoro di drone elettro acustico Living Torch. Un album solenne in cui i drones sono accompagnati da trombone e clarinetto basso, mentre Kali si cimenta con il synth usato da Eliane Radigue, denominato ARP 2500.
Tra i primi 5 c’è poi spazio per uno degli innumerevoli progetti del maestro giapponese Keiji Haino. Qui con i suoi Hardy Rocks nelle vesti di una specie di Jon Spencer Samurai a cimentarsi con i classici del rock’n’roll. Davvero gustosissimo. Per il momento non lo trovate in nessun formato digitale per cui consiglio l’acquisto di una solida edizione vinile.
Chat Pile – God’s Country
Haino Keiji and The Hardy Rocks – You’re Either Standing Facing Me Or Next to Me
Moor Mother – Jazz Codes
Kali Malone – Living Torch
Tonstartssbandht – Petunia
Maria Chiara Argirò – Forest City
Constant Smiles – Paragons
Anteloper – Pink Dolphins
Ty Segall – Hello, Hi
Ashenspire – Hostile Architecture
Messa – Close
Burial – Antidawn
Holy Tongue – III
Tomaga – Extended Play 1&2