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I dischi dell’anno di Giacomo D’Attorre: una classifica commentata

Alla fine anche in questo bizzarro 2020, anche se con una insolita discontinuità, ho ascoltato una marea di roba. Tanti dischi che mi hanno tenuto compagnia e che, diversamente dal solito, mi hanno riportato “alla normalità”. Anno disordinato e incerto e di conseguenza ascolti che più che mai hanno seguito traiettorie diverse. Senza pretese di completezza – ho ancora alcuni arretrati che non ho fatto in tempo ad ascoltare – ecco quelli che ho preferito…

Alex Maas – Luca (Basin Rock)
Esordio solista per il leader dei Black Angels, che mette da parte l’esplosività psych tipica della band e propone dieci ballate più intime ma altrettanto polverose. Disco invernale e notturno, sul quale sono tornato volentieri già diverse volte, nonostante sia uscito poco meno di un mese fa.

Arbor Labor Union – New Petal Instants (Arrowhead Records)
Album divertente, scritto bene e che trasuda entusiasmo. Ci sono sonorità che vanno dai Meat Puppets ai Dinosaur Jr. con una vena più freak che ricorda i dischi Elephant 6. Loro sono di Atlanta e avevano esordito per Sub Pop quattro anni fa, mentre quest’ultimo esce invece per la piccola Arrowhead Records di Athens, Georgia (per forza, direi).

Bob Dylan – Rough and Rowdy Ways (Columbia)
Non c’è nulla di più difficile del saper raccontare bene una storia, e qui basta poco per capire che siamo in un altro campionato. Album impegnativo ed elegantissimo: ancora oggi un gigante.

Elkhorn – The Storm Sessions (Beyond Beyond is Beyond)
Improvvisazione a due chitarre, registrata in una sera d’inverno, in bilico tra John Fahey e la fine del mondo. Un oggetto misterioso, sospeso in un tempo uno spazio indefinito: la colonna sonora perfetta per questo lungo anno.

Fortunato Durutti Marinetti – Desire (autoprodotto)
Questo l’ho ascoltato a ripetizione. E’ difficile trovare informazioni su questo tizio, so solo che è italo-canadese, ma ha fatto un disco meraviglioso, solitario, malinconico, delicato, casalingo; un lavoro prezioso che sembra tirato fuori da una capsula del tempo. 

Heather Trost – Petrichor (Third Man Records)
Nel corso della loro ormai ventennale carriera gli A Hawk and a Hacksaw (Heather Trost e Jeremy Barnes) hanno esplorato il mondo del folk balcanico praticamente in ogni suo angolo, intraprendendo una ricerca meticolosa e affascinante di quelle sonorità. In questo lavoro solista Heather – sempre supportata dal compagno Jeremy – cambia però direzione, staccandosi dalle sonorità tipicamente terrene del duo per esplorare una dimensione sovrannaturale e onirica, su cui il duo aveva già fatto capolino negli ultimi album (“You Have Already Gone to the Other World” e “Forest Bathing”). Il risultato è un disco preparato con cura, in cui Heather si mette completamente in gioco mostrando una nuova e affascinante identità.

Horse Lords – The Common Task (Northern Spy)
Disco kraut/math (per dirla in due parole) talmente ricco di idee e sfaccettature che ha il potere di coinvolgere praticamente tutti e cinque i sensi: un’architettura essenziale ma complessa, e stratificata, un vero e proprio labirinto in cui perdersi.

The Howling Hex – Knuckleball Express (Fat Possum Records)
Album insolitamente disciplinato per Hagerty (complice probabilmente la produzione di Clay Jones) che, come suo solito, prende il “rock” così come lo conosciamo e lo trascina sull’asfalto fino a sfigurarlo completamente. Ascolto esasperante, ma gli chiediamo questo. If you wanna die, believe in lies!

Jeff Parker – Suite for Max Brown (International Anthem Recording Company/Nonesuch)
Nel comunicato stampa di lancio, Jeff Parker (che è il chitarrista dei Tortoise) spiega che quando faceva il dj aveva imparato a mixare i dischi di Nobukazu Takemura con “A Love Supreme” di Coltrane, e che la sua idea per questo disco era quella di riprodurre il conflitto uomo vs. macchina: musicisti che improvvisano su sequenze. Non è il primo a farlo, ma non ce ne sono tanti che lo hanno con così tanto gusto. 

The Microphones – The Microphones in 2020 (P.W. Elverum & Sun, Ltd.)
Credo che di questi tempi ci sia un grande bisogno di opere come questa, che richiedono tempo, impegno e attenzione per essere comprese e assimilate; un’idea di rapporto con l’arte non va più di moda e rischia di perdersi completamente. Il disco è anche un libro e un film ed è, per farla breve, un lungo stream of consciousness narrato con quel piglio intimo e prorompente che da sempre distingue Phil Elvrum, musicista (ma non solo) unico e geniale.

Mint Mile – Ambertron (Comedy Minus One)
Tim Midyett era membro dei Silkworm e dei Bottomless Pit e l’anno scorso gli ho potuto stringere la mano perché ora suona dal vivo coi Sunn O))). Quest’anno, dopo alcuni EP sparsi qua e là, ha finalmente esordito a nome Mint Mile con un disco americanissimo, da lunghi viaggi in auto, ma anche da quarantena. Un disco intenso e corale, a cui hanno partecipato dodici musicisti, quasi tutti nomi già letti tra i credits di altri dischi che alcuni di noi hanno in casa (ad esempio Jeff Panall, batterista di Jason Molina…).

Moor Jewelry – True Opera (Don Giovanni Records)
Terzo disco dell’anno per Moor Mother che stavolta collabora col produttore Mental Jewelry e picchia durissimo con dieci pezzi che hanno la statura dei classiconi noise-rock di casa AmRep. E’ un disco urgente, a tratti caotico, ma che ha le idee chiarissime e funziona alla grande, i testi sono una bomba e quando Moor Mother apre bocca sembra capace di portarsi dietro mezzo mondo.

Osees – Protean Threat (Castle Face)
Per me negli ultimi anni (diciamo a partire da “Mutilator Defeated at Last” del 2015) i Thee Oh Sees stanno infilando un disco più bello dell’altro e soprattutto stanno vivendo una crescita mostruosa e ad ogni uscita aggiungono un importante tassello per l’evoluzione del loro suono, in costante mutamento. “Protean Threat” è solo uno dei tre dischi usciti quest’anno; mentre scrivo sto ascoltando per la prima volta l’ultimissimo “Panther Rotate” e si intravedono già nuove sfumature.

Rose City Band – Summerlong (Thrill Jockey)
Chi ama certe sonorità e ha le orecchie allenate non potrà non apprezzare “Summerlong”: dentro c’è di tutto, dai Grateful Dead, ai Byrds, fino agli Spacemen 3. Un disco apparentemente “facile” ma ricco di esperienza, un passo avanti rispetto a molti altri.

Strange Magic – Melatonin Doomsday Blues (autoprodotto)
Altra scoperta recente che ho consumato in pochissimo tempo. Dieci pezzi che oscillano tra WIlco ed Elvis Costello registrati in casa e uno più appiccicoso dell’altro. Ci conosciamo da poco ma non riesco a togliermelo dalla testa. 


Tra gli altri ascolti che non sono entrati in lista ma ci tengo a segnalare metto anche  “Music for Walks” dei Silver Scrolls, “Consultant” dei Landowner, “Flowers of Evil” degli Ulver, “Oh Yeah?” dei Sunwatchers, il tris “Surrender Your Poppy Field”/”Mirrored Aztec”/”Styles We Paid For” dei Guided by Voices, “Dangerous Visions” dei Live Skull e “Sideways to New Italy” dei Rolling Blackouts Coastal Fever.

Tra gli italiani i tre che ho preferito sono “Mantracore” dei San Leo, l’esordio di Catholic Block, “We Fail”, e “Day Ripper” dei Bee Bee Sea.

 

L’autore: Giacomo D’Attorre è voce, chitarra e deus ex machina della ragione sociale Clever Square.  La band nasce a Ravenna in un garage nell’estate del 2005, si scioglie nel 2015 e torna nel 2019 con “Clever Square”: un nuovo disco per un nuovo inizio. to be continued.
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